Siamo in un periodo dove il coaching è sulla bocca di tutti. Inoltre, essendo applicabile in qualsiasi ambito della vita, può nomi diversi: Executive Coaching, Coaching Aziendale, Team Coaching, Career Coaching, Coaching per la leadership, Public Speaking Coaching, Sport Coaching, Wellness Coaching, Coaching per l’Ansia, Coaching Spirituale, Coaching per la genitorialità, Coaching per la Sessualità, e molti altri.
Questo da un lato è una cosa positiva (lo so lo so, mi occupo di coaching e sono di parte) ma dall’altro si corre il rischio di confusione, del resto se tutto è coaching allora niente è coaching!
Partiamo allora da una definizione, nello specifico quella del movimento “Evidence-based Coaching”, in quanto credo possa fornire una bussola per capire se quello che stiamo facendo (nel ruolo di coach o di cliente) sia coaching o qualcos’altro :
“Il coaching è un metodo di sviluppo di una persona, di un gruppo o di un’organizzazione, che si svolge all’interno di una relazione facilitante, basato sull’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi di miglioramento/cambiamento autodeterminati e realizzati attraverso un piano d’azione“.
Quindi …. Se manca anche solo una delle parole evidenziate in grassetto puoi essere sicuro che NON si tratta di coaching!
Il coaching come metodo
Il coaching è quindi un metodo, non una tecnica o una serie di tecniche. Ciò appare chiaro andando a considerare la radice etimologica del termine.
La parola “metodo” (dal greco Methòdos) indica la via, la direzione (Hòdos) che va oltre (Meta): è una “ricerca, indagine, investigazione per giungere ad un determinato luogo o scopo.
Certamente nel coaching gli obiettivi sono importanti ma ancora più importante è essere consapevoli che esso non è una consulenza o una tecnica di intervento bensì un atteggiamento relazionale di ricerca.
La via percorsa da ogni intervento di coaching, in quanto basata su una ricerca personale, sarà pertanto sempre diversa, perché ogni persona è unica e irripetibile.
Il ruolo del coach
Qui gioco facile e mi metto sulle spalle di John Whitmore, quasi universalmente riconosciuto come il padre del coaching moderno:
“Il ruolo del coach non è giocare, ma allenare colui che gioca la sua partita. Liberare le potenzialità della persona perché riesca a portare al massimo il suo rendimento. Aiutarla ad apprendere piuttosto che limitarsi ad impartirle insegnamenti. (…) L’essenza del buon coaching è sviluppare consapevolezza e responsabilità”.
Nel suo ruolo, il coach ha quindi innanzitutto il compito di:
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- mettere a tacere la propria “fretta interiore” e ascoltare, non avere quindi il bisogno di fornire una riposta, un consiglio o addirittura un giudizio frettoloso
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- ssere presente e ampliare il proprio tempo interiore e interessarsi in modo genuino al cliente
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- parlare semplicemente, del resto se le cose non risultano semplici per la persona che lo ascolta, allora difficilmente saranno valide per permetterle di raggiungere i suoi obiettivi)
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- Se sei interessato ad approfondire l’argomento ti invito a leggere Coaching di John Witmore, uno dei libri che ha più contribuito allo sviluppo del coaching non solo come professione ma come cultura.
- Credo che sia una lettura importante per tutti e in particolare per chi crede nell’approccio olistico e nella responsabilità sociale di ognuno di noi.